Italia città ostile


 La giovinezza è tutta nella luce
d’una città al tramonto
dove straziato ed esule ogni suono
si spicca nel brusio.

E tu mia vita salvati se puoi
serba te stessa al futuro
passante e quelle parvenze sui ponti
nel baleno dei fari.

Periferia 1940, da "Diario d'Algeria"
Vittorio Sereni


C’è un fenomeno che riguarda tutte le città italiane, da Nord a Sud, qualsiasi sia il colore del loro governo.

Sotto le etichette di decoro e sicurezza si stanno riducendo gli spazi a disposizione di alcune parti del corpo sociale: i giovani e tutti coloro che, per le più disparate ragioni, si trovano ai margini.

Le ordinanze si rincorrono dando prova dello spirito che agita chi amministri le nostre città, con l’approvazione di un’ampia parte dell’elettorato, senza distinzione di fede politica. Si vieta di diffondere musica dai propri cellulari negli spazi pubblici (La Spezia), di mangiare un panino seduti su una panchina o un gradino (Verona [2014, vieta di dare cibo per strada ai senza-tetto], Pisa [2018, vietato sedersi] etc.), si impedisce agli ambulanti di raggiungere il centro cittadino così che non possano distribuire cibo per strada.


Telemaco Signorini, Rob Roy, 1881 

Chiunque non si conforma a un modello preordinato del vivere - che deve coincidere con il consumare - e non è partecipe di quella routine capitalistica che distribuisce le masse, giorno dopo giorno, nei centri produttivi per poi richiamarle al loro luogo di residenza è visto con sospetto e deve subire l’acuirsi del controllo, la diminuzione dei suoi diritti e delle sue possibilità espressive; un controllo che, dalla dimensione fisica, dei corpi, ha lo scopo di operare una rieducazione, e giungere, così, al piano della mente.


Graffiti pompeiani, molto prima di New York. Degrado?

Chi non partecipa al rito subisce quindi politiche che lo estromettono da alcune geografie - in genere le aree centrali e gentrificate della metropoli -, egli non cessa di esistere ma è privato della capacità di significare quegli spazi. In altre parole, deve essere ricollocato là dove la sua presenza non possa turbare chi fatica a confrontarsi con ogni input dissonante. L’alternativa, o la semplice differenza, in termini di modello di vita. Le esperienze marginali, le minoranze, infatti sono percepite come una minaccia alla stabilità delle proprie abitudini, minaccia che si realizza in una dissonanza cognitiva, a una percezione che si ha di sé e degli altri che deve essere proposta come adamantina, senza possibilità di dissenso.

Il diverso, il povero, il giovane, il migrante, i soggetti più deboli, gli/le operatrici del sesso, possono (e in molti casi neppure questo) attraversare il centro cittadino senza che questo spazio possa oggi essere ridefinito dalla loro presenza, subire, in virtù del loro uso transitorio, una ridefinizione antropologica. La titolarità del bene comune va quindi a coincidere a quella di una classe dominante e omologata, in un costante sforzo di  esclusione, di ingegnerizzazione sociale, e di estrazione di un valore immobiliare.

I centri cittadini appartengono, senza possibilità di abiura, a processi economici che coinvolgono l’immagine intesa come identità, facendo coincidere gli sforzi di rappresentazione che li riguardano con il piano psichico di una ostile maggioranza silenziosa, soggetta, essa stessa di un processo persuasivo costante. Dunque la produzione di una narrazione, di una menzogna che ha il solo fine di rassicurare chi abbia le disponibilità economiche per comprare un posto in prima fila, svilendo la primaria funzione sociale di questi spazi che, nella modernità, si compiono in quella dell’incontro, della mescolanza.

Le piazze, è il caso recente della Pisa a guida leghista, diventano merce, aree che è possibile fruire, in occasione di un concerto solo se si appartiene a una categoria: quella del pubblico pagante. Non solo la Lega, però, attua scelte di questo tipo: qualcosa di molto simile era successo, se lo si ricorda bene, nel 2013, con Renzi che, in quel caso, chiuse Ponte Vecchio per un’iniziativa privata: un galà di ferraristi alla presenza di Montezemolo.

Anche la città di Sarzana, per tornare alla nostra provincia, sottrae alla comunità piazza Matteotti in occasione di MOONLAND, rassegna di musica estiva; lo stesso si vede, da molto più tempo, accadere a Lucca e in molti altri borghi del nostro paese; un processo di valorizzazione turistica, una politica che coinvolge tutto il territorio nazionale, che appartiene all’epoca delle esperienze come consumo, una prospettiva secondo la quale ogni scorcio può – e deve – essere monetizzato e considerato, a torto, una inestinguibile risorsa. I risultati sono certo suggestivi, soprattutto per coloro che, forti della loro prenotazione, partecipino a simili manifestazioni (è capitato a molti, compreso chi scrive), ma non leniscono gli effetti di un paradosso: quello di attribuire una funzione privatistica a uno spazio che, in Occidente, per sua definizione, appartiene allo spettro dei beni comuni.


La piazza di Lucca, allestita per i concerti

Le piazze sono quelle aree in cui si celebra e itera l’incontro delle soggettività. Il mercato, con le sue bancarelle, in cui sono esposti i prodotti alimentari del territorio di riferimento. Accessibili a chiunque, le piazze, interrompono la continuità dell’abitare, il rifugio e di botteghe ma, più d’ogni altra cosa, appartengono a tutti coloro che, al di là di una programmazione, di un calendario, per pura accidentalità, decidono di raggiungere il luogo di aggregazione per antonomasia. La piazza è desiderio, è opportunità sociale, là dove ci si può guardare negli occhi per la prima e per l’ultima volta.

Nelle epoche passate i riti del potere, religioso o temporale raggiungevano nelle piazze il loro acme, cioè il momento in cui essi erano esperiti dai cittadini e assumevano così una dimensione pubblica, facendosi memoria collettiva e, da lì, immaginario. Le piazze si prestano a comizi e dichiarazioni; secoli fa erano lo spazio entro il quale si esercitava il vituperio; presso i longobardi, si svolgevano i duelli ordalici; si accorciavano i sovrani, quel Luigi XVI che sortì un simile destino in una piazza che, durante il suo stesso regno, fu edificata in onore del suo predecessore: Piazza della Rivoluzione (oggi Place de la Concorde). Era il 21 gennaio del 1793, dinnanzi a una folla esultante.

Ovunque si rimuovono panchine, si installano telecamere, si organizzano eventi che sottraggono le piazze a una condivisione libera e spontanea. Come già detto, le ordinanze vietano il consumo e la distribuzione di cibo per strada, intanto assistiamo al diffondersi di elementi di design ostile; o, ancora, certe città sostituiscono bibliotecari con effettivi della polizia municipale (è il caso della Spezia). Ancora, dispositivi come il Daspo urbano di Minniti e Orlando, vedono i loro campi di applicazione estesi dall’attuale esecutivo. Tutti questi elementi definiscono il volto di un potere che, quando non può conformare l’individuo lo estromette, allontana dall’uso delle geografie, mentre nessuno dei problemi esiziali di questo paese trova soluzione.


Il muro di Via Anelli 

In un’Italia dove il tessuto sociale risulta essere sempre più sfaldato, la tentazione di rispondere alle contingenze è quella di erigere muri, reali o concettuali (si pensi al muro di Padova, del sindaco-sceriffo Zanonato) e intruppare l’intera cornice delle manifestazioni umane in contenitori preordinati e rigidi, nel tentativo di dare valore, misura, prezzo non solo alle merci ma a ogni nostro singolo istante, così come a ogni nostra scelta e azione.

Ciò che tutt’oggi può scardinare questa visione razionalizzante assicurando un’opportunità
di evasione dal pianeta-carcere è quell'eterogeneo e ambiguo magma di gruppi e persone che
non si adeguano a questo corso o che, per le più disparate ragioni, agiscono irrazionalmente,
inseguendo i loro desideri, l’amore, ogni sensazione che non può essere posta sulla bilancia
del capitale
.


Piazza San Marco, Canaletto 1720 ca. 

Ed è per questa ragione che ogni atto che abbia la potenza di turbare il senso comune - di dare scandalo, in un’Italia dalla sensibilità narcotizzata, se non uniformata, nella direzione di una idealizzazione dello spazio metropolitano - deve ricevere il pieno sostegno da tutti coloro che non si arrendono a un’epoca di plastiche finzioni e artificialità perché ognuno di questi esercizi è capace di rilevare la condizione fortemente dissociativa dello spirito che anima il nostro paese.

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